Alopecia, 5 donne si raccontano

2022-06-19 00:12:11 By : Ms. Gabriella Guo

Cinque testimonianze molto diverse sulla perdita dei capelli, l'accettazione e la volontà di aiutare gli altri a conoscere e capire

I capelli possono significare moltissimo per una persona. Possono essere un modo per esprimersi, rappresentare una connessione con le proprie radici o, persino, essere un mezzo di espressione politica. Ecco perché è tanto difficile immaginare una vita senza capelli. Lo abbiamo fatto poco dopo gli Oscar, dopo lo scandalo legato a Jada Pinkett Smith, le battute infelici di Chris Rock e la reazione del marito Will Smith. Forse, però, senza capire davvero la tristezza e la rabbia, la confusione e la depressione che può provocare l'alopecia e la perdita totale o parziale di capelli e peli del corpo. E, poi, c'è lo smarrimento causato dal dover reinventare la propria identità facendo i conti con una nuova immagine di sé, in cui non ci si riconosce. Una lezione che Alessandra Sbarra, Martina Capuzzo, Graziella Freni, Francesca Balducci e Laura Cavina hanno dovuto imparare per poter affrontare l'alopecia e le sue conseguenze fisiche e, soprattutto, psicologiche. Cinque donne che rappresentano il consiglio di presidenza di Asaa Ets, Associazione Sensibilizzazione Alopecia Areata, ma anche cinque storie molto diverse sull'alopecia e su come affrontarla in modo unico e personale. Vissuti ed emozioni che dovrebbero esserci di ispirazione, ma anche farci riflettere e, magari, lottare assieme a loro affinché l'alopecia venga riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale.

«Il mio viaggio con l’alopecia inizia 17 anni fa. Avevo 27 anni e mi sentivo, stranamente, in forma. Capelli lunghissimi, guai a tagliarli, e peso adeguato, forse, il mio minimo storico. Perché indugio sull’aspetto fisico? Perché il primo, traumatico, repentino ed inesorabile cambiamento indotto dall’alopecia è quello all’immagine di sé. D’un tratto, si potrebbe dire, dall’oggi al domani - per me, sono stati pochi mesi dalla prima chiazza -, ti ritrovi a fare i conti con un’altra te e ti senti persa. Io non ricordo quasi nulla di quel periodo. Ho solo qualche immagine in testa: io che compro la mia prima parrucca, accompagnata dalla madre di una cara amica, io che metto insistentemente la mano nei capelli che cadono a ciocche, io che tento di coprire il copribile per nascondere al mondo ciò che mi sta accadendo. Non ricordo emozioni particolari, piuttosto, una sorta di catatonia. Poi, una visita dermatologica ed ecco che spunta la cura o ciò che mi viene spacciato per tale. Sei mesi di cortisone mi riportano i capelli in testa, ma non senza pagare pegno. Continuo il mio viaggio, con parecchi chili in più, vari disturbi fisici e la convinzione di averla scampata: era solo stress? Chi può dirlo, l’importante è che sia alle spalle.

Ma, ahimè, non è così. Questa situazione dura veramente poco perché, circa un anno dopo, eccola lì, una nuova chiazza, grande quanto una monetina da un euro. Quel giorno, a differenza dei primi passi con l’alopecia, è impresso nella mia mente. Esco di casa con mia nipote, spingo il passeggino verso il parco e piango. Lacrime amarissime. A nulla valgono le parole di chi cerca di consolarmi, forse, da qualche parte dentro di me, so già come andrà a finire. Non serve riprendere il cortisone in dosi massicce, stavolta ogni pelo della mia superficie corporea se ne va, lasciandomi scoperta: Alopecia universale. È una strana solitudine, quella che vivo. Non c’è un medico che ti dia la sensazione di capirti e accompagnarti e, per forza di cose, non c’è nessuno che possa davvero aiutarti. Sei sola con la tua immagine allo specchio e, in alcuni momenti, arrivi a pensare che la tua vita sia rovinata per sempre. Eppure ricordare queste cose è come rievocare un’altra vita e un’altra persona. Quando, dopo lo shock, la rabbia, la disperazione, sono arrivata a toccare il fondo, ho capito che era ora di smettere con cure devastanti e ricominciare a vivere. In quel momento, credo di aver iniziato un altro viaggio in cui ho scelto, non senza fatica, di guardare ciò che avevo e non ciò che mi mancava, di smetterla di lamentarmi ed iniziare ad affrontare la vita che, in fin dei conti, non è facile per nessuno.

A differenza dei primi passi con l'alopecia, quel giorno è scolpito nella mia mente. Lacrime amare.

Sono stati anni preziosi durante i quali, passo dopo passo, mi sono scoperta più forte di quanto potessi immaginare. Ho iniziato a portare la parrucca come vezzo e non per nascondermi, a girare a testa scalza affrontando gli sguardi della gente, a pensare che ero fortunata perché, tra le patologie autoimmuni, avevo sviluppato la meno grave. Mi sono accorta di “aver messo via” la mia alopecia quando, guardando una mia foto a testa nuda, mi sono concentrata sulle rughe del volto e non più sulla mancanza dei capelli. Allora, lo ammetto, mi sono commossa, perché ho sentito di aver fatto qualcosa di grande per me. Oggi mi capita di pensare all’alopecia come ad un’autostoppista matta che ho dovuto caricare sulla mia auto. Ho fatto di tutto per farla scendere. L’ho odiata, maledetta, mi sono chiesta “ma perché è salita proprio sulla mia macchina”, finché, ad un tratto, mi sono accorta che stavo perdendo tutto il bello che il viaggio aveva da offrirmi. Così, ho smesso di girarmi verso di lei e, insieme a lei, sto guidando verso panorami mozzafiato. Non ho scelto di farla venire con me, ma sono io che decido dove voglio andare e quali luoghi visitare.

Oggi so di aver ricevuto più di quanto ho perso

Oggi, sebbene abbia vissuto momenti difficili ed emotivamente faticosi, so di aver ricevuto più di quanto ho perso, sia in termini di relazioni sia in termini di punti di forza che, diversamente, non so se sarei riuscita a tirare fuori. Oggi, come presidente di Asaa, e psicoterapeuta, mi batto perché questa patologia sia riconosciuta dal Sistema Sanitario Nazionale, perché, sebbene e fortunatamente, non metta a rischio la vita, ha un impatto psicologico pesantissimo e costi non indifferenti. No, non è solo un problema estetico».

«Io, perfettamente imperfetta. Il tempo, l’unico al mondo a metterti al passo con te stessa. Avevo tredici anni quando l’Alopecia ha bussato alla porta della mia vita. Era giugno, dovevo iniziare gli esami di terza media. Mia madre mi stava asciugando i capelli quando ha urlato lasciando cadere a terra il phon. La prima chiazza senza capelli sulla mia testa. È calato il silenzio, un silenzio surreale, un urlo di dolore. Mia madre mi ha “donato” quella che per molti anni è stata la mia “sfiga” più grande. Lei i capelli non li ha mai avuti, la sua è alopecia totale. Dicono sia genetica, stress, dicono un sacco di cose, ma poi non camminano a testa scalza per le strade sotto lo sguardo del mondo. L’alopecia ti toglie l’identità, il sorriso, ti costringe a nasconderti dietro foulard o parrucche, ti fa vivere dentro un limbo dove vedi in bianco-nero e i colori non sai cosa sono. Lei era questo. Sono stati anni bui e tormentati, alla spasmodica ricerca di una cura miracolosa, tra crescite e ricadute e speranze puntualmente disattese. Non ho mai pensato di indossare una parrucca, in fondo avevo visto tutti i limiti di mia madre. L’alopecia areata per vent’anni ha letteralmente governato la mia vita: lacrime, paure, ansie, il mio sentirmi inadeguata. La mia testa era un’invasione di chiazze senza capelli che tentavo di nascondere con cappellini o bandane, almeno fino al 1 dicembre di 9 anni fa. Era il 2013.

L'alopecia areata, per vent'anni, ha letteralmente governato la mia vita. Poi...

Ricordo ancora con chi ero nel bagno di casa davanti allo specchio. Ricordo com’ero vestita. Ricordo il buio di quell’anno, le mie mani tremanti, la mia paura con la lametta in mano. Ricordo che in pochi secondi ho tagliato di netto tutte le mie insicurezze, le mie incertezze, i miei se e i miei ma e quegli ultimi capelli che mi erano rimasti. Ricordo bene il profumo di quel giorno, profumo di rinascita. Furono volontà e coraggio a prendersi per mano. Oggi so che senza la Martina di un tempo non ci sarebbe la Martina di adesso. Tutti gli ostacoli e le difficoltà, gli sguardi insistenti, a volte taglienti, la paura, il giudizio — in primis il mio pregiudizio — sono spariti e hanno lasciato spazio alla consapevolezza che oltre i miei capelli c’è di più. Ho sradicato dalla mia anima la paura, l’ho guardata in faccia, ho riso con lei e scoperto l’ironia.

Ho sradicato dalla mia anima la paura, l’ho guardata in faccia, ho riso con lei

L’Alopecia mi ha tolto i capelli ma donato una marea di persone e restituito amore e amicizia in doppia dose. Mi ha insegnato a essere chi sono, fa parte di me, l’ho trasformata in una opportunità, una risorsa, un punto di forza e mi sono riscoperta forte, fortissima come mai avrei potuto immaginare. Ringrazio l’alopecia perché ha forgiato l’armatura lucente che dismetto raramente. Ringrazio le mie cicatrici, a volte sono state feritoie da cui ho guardato il mondo, altre sono state dei solchi dietro cui mi son nascosta o difesa, altre ancora, però, hanno rivelato sorrisi inaspettati come a dire “io ce l’ho fatta”. Con il tempo la mia testa pelata è diventata uno scrigno d’amore di cui vado fiera. Non li vorrei più i capelli sulla mia testa, io la amo così com’è».

«L'alopecia mi ha accompagnata da quando ho memoria di me. Ero piccolina, nemmeno sei anni, quando arrivarono le prime chiazze. "Non fate nulla, non datele peso, ignoratele", ci consigliò il pediatra di allora. Ma la mia alopecia riuscì ad avere tanta, troppa attenzione, da me e dai miei genitori. E da lì visite, dermatologi, psicologi, ricoveri per accertamenti, lozioni, bruciature. Ma lei, ovviamente, faceva quel che voleva, sembrava rispondere alle cure, ma la recidiva era sempre dietro l'angolo. Dopo una brutta parentesi ai tempi delle medie, con una perdita di quasi la metà dei capelli e pettinature improbabili con decine di fermagli, mi lasciò in pace negli anni del liceo, per poi tornare più avanti.

Ero adulta, ormai, ma l'alopecia era totalizzante sui miei pensieri

Ero adulta, a quel punto, ma la scoperta delle nuove chiazze mi catapultava ogni volta in una dimensione di insicurezza e precarietà, l'alopecia era totalizzante sui miei pensieri. Poi l'epilogo: dopo la prima gravidanza, la caduta pressoché totale, la rasatura degli ultimi ciuffi già senza vita. E, da allora, non ho più visto un capello sulla mia testa. Sono circa vent'anni, ormai. Ho deciso di non tentare altri approcci terapeutici, francamente ne avevo abbastanza, ma non ho avuto subito la forza di dedicarmi a me stessa, al mio lutto, alla ricostruzione di me e mi sono nascosta per qualche anno sotto un paio di parrucche, succube della situazione. Mi pareva improponibile mostrarmi com'ero, semplicemente impossibile, come andare in giro nuda.

Mi pareva improponibile mostrarmi com'ero, semplicemente impossibile, come andare in giro nuda

Il senso di solitudine di quel periodo lo ricordo bene, mi sentivo come bloccata. Poi, ricordo che mi ero iscritta a Facebook da poco, digitai la parola "alopecia" e mi apparve la pagina di ASAA. Mi sentii accolta, compresa. Vidi tante foto di donne a testa scalza, sorridenti, serene. Per me fu un punto di svolta, cominciai a vedere tutto sotto un'altra luce, a capire che con l'alopecia si poteva convivere senza esserne schiacciate, persino con una certa dose di serenità e di orgoglio. E, a quel punto, scegliere! Parrucca, foulard, testa scalza, cappellino... tutto va bene, purché sia ciò che si vuole, che ci fa sentire meglio. Per me è stato fondamentale poter conoscere e parlare con persone con alopecia, specchiarmi in loro per capire me stessa, cosa potevo fare, cosa volevo essere, senza condizionamenti, senza temere il giudizio degli altri. Da allora vivo con più leggerezza, meglio e mi sento più forte, più consapevole. Peccato non averlo scoperto prima. Ma va bene così, l'importante è arrivarci».

«Quando mi fermo a riflettere sulla mia alopecia non so mai da dove cominciare, perché le emozioni e gli stati d’animo che hanno caratterizzato questi anni sono molteplici. Ancora adesso, da donna adulta e con un bagaglio di esperienza abbastanza nutrito su questo tema, credo che il cerchio non si sia ancora chiuso. Ho 46 anni e ne avevo 7 quando è comparsa la prima chiazza, un’unica e solitaria chiazza tondeggiante su di una chioma di capelli neri e lisci, ma soprattutto lunghissimi. Non li ho persi tutti e subito, per anni ho convissuto con le chiazze, modificando il mio taglio ai dettami della malattia. Capelli corti, riga laterale, frangia, lavaggi frequenti. Per molto tempo, mi sono lasciata trasportare dalla frenesia e dall’angoscia dei miei genitori che hanno fatto di tutto per provare a risolvere il problema. Un continuo pellegrinare dallo specialista di turno per poi scoprire che quella terapia non andava bene. Tralascio il clima che si respirava in quelle occasioni a casa, le lacrime di disperazione di mia madre e i sorrisi di mio padre che cercava in tutti i modi di incoraggiarmi. Per anni mi sono fatta travolgere dalle decisioni altrui, prima da bambina e adolescente, perché non avevo voce in capitolo, poi da ragazza e giovane donna, più per abitudine che per convinzione.

Non li ho persi tutti e subito, per anni ho convissuto con le chiazze

Ho accanto un compagno che ha l’alopecia universale, conosciuto quando io ancora lottavo con le chiazze e lui aveva già perso tutti i capelli e i peli del corpo. Certo, l’alopecia ci ha fatti incontrare grazie ad un evento organizzato dall’associazione di cui entrambi facciamo parte ma mi sono innamorata di lui andando oltre il suo aspetto fisico. Il fatto che lui non avesse i capelli per me non è stato mai un peso, mentre i miei capelli sono stati sempre molto ingombranti. In uno dei miei momenti di crisi ho avuto il coraggio di dirgli tra le lacrime “tu non puoi capirmi”, a lui che aveva già affrontato il mio calvario, che aveva superato le mie incertezze. A volte mi chiedo cosa avrei fatto se, acconto a me, in quel momento avessi avuto un uomo con una folta chioma. Cosa avrei fatto? Mi sarei riconosciuta in quello sguardo, avrebbe avuto con me la stessa delicatezza, lo stesso amore? Mi piace pensare che i sentimenti vadano oltre l’aspetto fisico, per me è cosi, per lui lo è stato. Ma è anche vero che per le persone che ci stanno accanto non è sempre facile capire e immedesimarsi.

Facevo lo shampoo ogni giorno per dare volume e camuffare le mancanze

Non riesco a individuare un momento "spartiacque": sono state diverse le circostanze e le coincidenze che mi hanno aiutato o costretta a prendere la decisione giusta in quel momento. Tutto è iniziato quando un giorno una collega mi disse “forse è meglio che ti dai un colpo di spazzola”. Ricordo ancora il gelo che si è impadronito di me, il panico che mi ha attanagliato lo stomaco. Era il suo modo di fare, so per certo, a distanza di anni, che lo ha fatto senza cattiveria, ma solo per mettermi in guardia. Era un periodo in cui sapevo che le chiazze erano sempre più evidenti, facevo lo shampoo ogni giorno per dare volume e camuffare le mancanze. Cercavo di far finta di nulla, le chiazze erano concentrate dietro e io non le vedevo, fingevo che non ci fossero. Ma quella frase mi ha messo davanti al fatto compiuto, di ritorno a casa ho preso uno specchio e, guardandomi, le ho viste: erano lì, ben visibili. Non potevo più far finta di nulla, erano reali. Da lí a poco ho comprato la mia prima parrucca. Non è stato semplice, non lo è per nessuno. Si tratta di un accessorio con il quale bisogna prendere confidenza. Ho deciso di non mostrarmi senza parrucca, ancora oggi faccio fatica a stare al mare a testa scalza e molto spesso, quando esco dall’acqua dopo un lungo bagno, mi sfioro il viso con le mani, come se volessi togliere i capelli davanti agli occhi. Un gesto istintivo, che faccio senza rendermene conto.

La perdita dei capelli è stata graduale, a partire dalle chiazze, che a un certo punto non si sono più richiuse per poi unirsi e crearne una grande e unica. Come se il destino volesse farmi abituare all’idea: uno stillicidio lento e inesorabile fino a quando non ho deciso di rasare tutto. Una liberazione. La perdita delle sopracciglia, invece, è stata molto più repentina. Nel giro di pochi giorni l’immagine che lo specchio mi rimandava era quella di una persona diversa, completamente estranea, che non aveva volto e nella quale non mi riconoscevo. Se alla perdita dei capelli ero sopravvissuta, alla mancanza delle sopracciglia proprio non riuscivo ad abituarmi. La dermopigmentazione, alla quale sono ricorsa senza pensarci molto, mi ha restituito la voglia di guardarmi allo specchio, ma soprattutto la possibilità di riconoscermi.

Quanta fatica, quanto dispendio psicologico ed anche economico impone questa malattia! Mi chiedo se chi ha il potere di decidere sulla salute e sul benessere dei cittadini se ne renda conto, ma evidentemente no, se ancora oggi l’alopecia non è riconosciuta come malattia, ma come semplice disagio estetico. Con questo non voglio fare alcun paragone con altre malattie più gravi, invasive e invalidanti. Però credo che anche noi, malati di alopecia — passatemi il termine — meritiamo un po’ di attenzione. So bene di cosa sto parlando, ho giurato davanti ad una cara amica che ha lottato contro un male incurabile che non avrei più pianto per i miei capelli. Lei, che non aveva più alcuna possibilità, mi ha insegnato il coraggio di non mollare mai. E io, come altri, non mollo, vado avanti, nonostante gli sguardi indiscreti e le difficoltà che incontro ogni giorno. Sento che il mio percorso non è ancora concluso, ho tanto su cui dover lavorare: la strada è quella giusta e, convinta di quello che ho fatto, vado avanti».

«La storia della mia Alopecia la intitolerei “Un gran brutto risveglio”. Era l'8 aprile 1996: una data precisa, quella in cui questa maledetta malattia ha fatto la sua comparsa. E che non posso dimenticare, con tutte le emozioni contrastanti - di incredulità, paura e rabbia, innanzitutto, ma anche di speranza - che si sono susseguite da quel momento in poi. Credo proprio che chiunque ne sia affetto non possa dimenticare il preciso istante in cui capisce che qualcosa di molto strano sta accadendo ai suoi capelli. Era mattina, mi sono svegliata in un mare di capelli, che si erano letteralmente “staccati” dalla mia testa durante la notte per rimanere adagiati, inermi, sul cuscino. La sera prima ero andata a dormire “normale” con la mia chioma riccia e folta e la mattina mi ritrovavo con un mucchio di capelli sul cuscino come se avessi fatto un brutto sogno. O una strega cattiva me li avesse strappati durante la notte senza che me ne accorgessi. Avevo 24 anni e non avevo mai sentito parlare di Alopecia areata prima di allora, né avevo mai conosciuto nessuno che l’avesse. Mi ero laureata 10 giorni prima e dovevo iniziare a cercare lavoro. È stato l’inizio di un vero e proprio incubo.

L'alopecia universale ti priva dei connotati che caratterizzano la tua espressività

Il 15 giugno, nemmeno 2 mesi e mezzo dopo, non avevo più nulla, avevo perso tutto. Nessun capello o pelo, né ciglia o sopracciglia: avevo la forma più severa di alopecia areata, quella universale, quella che ti toglie tutto, che non si ferma a qualche chiazza, ma prosegue implacabile fino a renderti glabra e irriconoscibile a te stessa e agli altri. L’alopecia universale (AU) toglie l’identità estetica perché priva chi ne è affetto dei connotati che caratterizzano la sua espressione. Si stenta a riconoscersi e, per di più, spesso accade in pochissimo tempo e non si ha nemmeno il tempo di capire cosa stia succedendo e come si possa reagire o metabolizzare. Per i successivi 4 anni, dal 1996 al 2000, non esistono foto di me, non riuscivo a guardarmi allo specchio e nemmeno in fotografia. Non mi riconoscevo e stavo male.

Dal 1996 al 2000, non esistono foto di me, non riuscivo a guardarmi allo specchio

Non ero mai stata una persona particolarmente attenta all’esteriorità e alla bellezza e non avevo mai curato più di tanto la mia estetica, ma solo allora mi sono accorta di quanti punti di forza avessi e di cui non ero mai stata consapevole. Da quel momento ho dovuto, in qualche modo, reinventarmi e costruirmi nuove certezze, che mi dessero quel poco di sicurezza necessaria per poter continuare a uscire di casa e sopravvivere a quello che mi era accaduto.

Il foulard è stato il mio primo, inevitabile, alleato. Dapprima, indossato a mo’ di fascia e usato per coprire le chiazze che si aprivano sulla mia testa, una dopo l’altra, unendosi tra loro fino a formare chiazze sempre più estese, che facevo sempre più fatica a coprire e che mi costrinsero a trovare altri modi di indossarlo: legato sulla nuca un po’ come si faceva da bambini per ripararsi dal sole e, infine, portato come un turbante, sperimentando sempre nuove modalità, quasi come fossero delle vere e proprie acconciature. I foulard erano diventati i miei nuovi capelli colorati e, piano piano, sono diventata una delle massime esperte.

Tuttora, il foulard è un accessorio che mi contraddistingue, il mio fido compagno quotidiano, oltre agli orecchini e agli occhiali di cui non posso fare a meno e senza i quali non esco mai di casa. Fin dall’inizio della mia alopecia, però, percepivo che nei miei due luoghi del cuore, la Sardegna e le mie adorate vette dolomitiche, al riparo dagli sguardi curiosi e indiscreti e, spesso, anche complice il caldo che mal sopporto, mi trovavo più a mio agio che in città e che potevo mostrarmi anche con la testa scoperta. L’abbronzatura, poi, riusciva e riesce sempre a farmi sentirmi più sicura, probabilmente perché mi dà l’idea di non venir scambiata per una persona in trattamento chemioterapico, dal momento che l’effetto esteriore ed il danno estetico dell’alopecia sono molto simili (mentre quello “interno”, fortunatamente, no). Proprio per questo, in estate ho sempre alternato il foulard alla testa scoperta e questo mi ha permesso, piano piano, di abituare anche le persone intorno a me a vedermi così come mi ero trasformata, con un’estetica strana e modificata, mio malgrado.

Non ho mai davvero riflettuto sulla mia scelta di utilizzare il foulard al posto di una parrucca/protesi, nonostante questa “modalità” richieda molto più coraggio ed energia per affrontare gli sguardi indiscreti. Credo che i fattori che mi hanno fatto propendere per questa scelta siano stati molteplici: il primo, sicuramente, è quello di non aver mai voluto nascondere la mia nuova condizione di “diversità sopraggiunta”, rendendo in qualche modo partecipe chi fosse davvero interessato a conoscere la nuova versione di me, affinché mi si potesse chiedere liberamente che cosa mi era capitato. Quasi come se volessi inconsapevolmente sensibilizzare le persone che mi circondavano rispetto a questa patologia così stramba, spiegando in primis che l’alopecia non è una malattia psicosomatica, ma una vera e propria patologia autoimmune. Nella speranza di combatter i pregiudizi pesantissimi che si porta dietro dal momento che, come anche recentemente è successo, questa patologia viene erroneamente attribuita allo stress (quando va bene) e a disturbi psichiatrici, quando a parlare sono persone presuntuose e ignoranti in materia.

Il secondo motivo è sicuramente stato un fattore economico, legato al costo elevatissimo delle protesi. Il costo, infatti, viene interamente sostenuto dalla persona che è affetta da alopecia, dal momento che la malattia non viene riconosciuta come patologia vera e propria, portando chi ce l’ha a dover subire e soffrire doppiamente: oltre a dover sostenere il danno estetico e psicologico che ne deriva, si è costretti ad affrontare anche quello economico.

La domanda che spesso mi sono fatta è stata (e qualche volta lo è ancora a distanza di 25 anni) “Che cosa avrò fatto di sbagliato per meritarmi questo danno estetico così difficile da portare addosso tutti i giorni, che ti ruba energia e ti fa chiudere come un riccio pensando di avere una qualche colpa verso te stessa?". Uno dei passi fondamentali per arrivare ad accettare questa malattia è stato acquisire la consapevolezza di non essere io la responsabile di ciò che mi era successo, che non sono stata io a provocare la caduta dei miei bellissimi capelli, che non si tratta di una malattia psicosomatica, ma di una malattia autoimmune che spesso si associa ad altre patologie pregresse.

Sono passati 26 anni, ad oggi sono più della metà gli anni della mia vita, tutti passati senza capelli. Tanto che non ricordo nemmeno più com’ero con i capelli. L'accettazione, alla fine, è arrivata, così come la voglia e il diritto di stare bene con me stessa, anche se dopo tanti momenti altalenanti, fatti di rapide e spontanee ricrescite dei capelli, ma anche altre più durature (incrociando le dita) di ciglia e sopracciglia. Senza contare le tante ricadute e i numerosi pianti, gli infiniti tentativi (compresi sciamani, stregoni e terapie non proprio convenzionali) e il cortisone. Ci sono voluti molti anni prima di capire che volevo essere accettata così com'ero. Parte della svolta, però, sta nel momento in cui capisci di volere che gli altri ti considerino per quello che sei diventata e non per come non sei più.