Terraforma Festival 2022 - Recensioni - SENTIREASCOLTARE

2022-07-10 19:24:07 By : Ms. Xia Zhang

Dopo due anni di blocco quasi totale, la musica dal vivo è tornata più rigogliosa che mai. Fra concerti e festival, piccoli e grandi, in città, al mare e in campagna, la sensazione è quella di un’offerta talmente ampia da risultare paralizzante. Tra la FOMO e i conti in tasca, si rende dunque necessaria una scrematura nel mare magnum dell’estate musicale, italiana e internazionale. Se uno dei criteri per scegliere in cosa investire il proprio tempo e denaro è l’affidabilità dell’evento, allora il festival Terraforma è senza dubbio uno degli appuntamenti imperdibili per gli appassionati di musica elettronica.

Giunto alla sua settima edizione (dopo la pausa forzata degli ultimi due anni), dal 2014 a oggi il festival si è guadagnato uno statuto di culto tanto per le sempre curate e ricercate lineup, quanto per la suggestiva cornice di Villa Arconati, un’oasi di natura nel parco di una reggia a soli 10 km da Milano. I racconti sull’atmosfera ‘magica’ e l’esperienza mistica di chi in passato ha trascorso quel weekend estivo in un’immersione di musica elettronica e natura, insomma, hanno alimentato negli anni la fama e lo status mitologico di questo festival.

Il ritorno del Terraforma era stato annunciato via social. Da venerdì 1 a domenica 3 luglio Villa Arconati sarebbe tornata ad essere teatro di danze ed escapismo. Già la prima tranche di artisti si apriva con i leggendari Autechre e si chiudeva con gli idoli di casa Voices From The Lake. Della serie ops, Terraforma did it again. La lineup completa ha confermato ancora una volta la cura nella scelta degli artisti che, fra italiani e stranieri, mostri sacri e culti di nicchia, si è dimostrata allettante anche per chi avesse un interesse solo marginale nella musica elettronica. D’altronde, il tris di live consecutivi Amnesia Scanner – Autechre – Voices From The Lake nel primo giorno, la maestria sempre imprevedibile di DJ Marcelle di sabato, e le tre ore pomeridiane affidate a Donato Dozzy, erano già un motivo valido per presenziare a questa nuova edizione del festival.

A posteriori ci si chiede se l’offerta musicale sia stata all’altezza delle aspettative. Risposta: assolutamente sì. Nonostante l’impossibilità di ascoltare tutti i live per motivi logistici – sia per chi è andato e tornato da Milano, sia per chi ha campeggiato – la qualità è stata ancora una volta di casa. Al netto di una proposta volutamente senza corredi extra-musicali (niente talk, performance, workshop, e via discorrendo) condensata nello slogan “for once we just dance”, che quindi priva il festival di quella dimensione più olistica e culturalmente trasversale, il bilancio per quanto riguarda la musica è più che positivo. Il Terraforma 2022 si è aperto nel nome dei live show del venerdì sera. Incorniciati dall’esibizione di Lafawndah e dal dj set di Crystallmess, i protagonisti del primo giorno sono state le tre sopraccitate coppie di artisti, probabilmente i migliori esponenti in circolazione dei loro (sotto)generi di riferimento.

Il massimalismo digitale degli Amnesia Scanner ha trovato un setting ideale nello speciale stage labirintico, per una performance audiovisuale volutamente disorientante, col pubblico costretto a muoversi circolarmente intorno ad un piccolo palco posto al centro del labirinto e in cima al quale erano montati schermi a 360 gradi animati dai visual perturbanti cui il duo di base a Berlino ci ha abituato in questi anni. Diametralmente opposto, invece, l’attesissimo live degli Autechre, con Sean Booth e Rob Brown intenti a manipolare suoni nel loro rigoroso no-light show. E tuttavia, proprio questa formula, senz’altro funzionale per estreme immersioni sonore in luoghi chiusi, ha costituito il tallone d’Achille della performance, vuoi per le fonti luminose adiacenti, vuoi perché il risultato finale era più dispersivo che immersivo, vuoi perché il contesto dell’Alpha Stage – probabilmente la vera icona del Terraforma – avrebbe beneficiato di una maggiore interazione fra sound e light design. A metà fra l’austerità del duo scozzese e l’overload degli Amnesia Scanner, i Voices From The Lake (i beniamini Donato Dozzy e Neel) hanno indotto il pubblico in una trance collettiva a suon della loro techno morbida, ipnotica, in perpetua ma impercettibile mutamento nel corso di due ore.

Il sabato, come ogni edizione, è stato il giorno col maggior numero di act in programma, dalle performance mattutine di Ange Halliwell, Sofie Birch e NR/MA, pensate per accompagnare in modo adeguato il risveglio dei campeggianti, fino alla maratona di chiusura affidata alla techno robusta e dal sapore 90s dell’enigmatico e sfuggente PLO Man. In mezzo, apprezzatissimi i dj set eclettici e incendiari di DJ Fati (alias votato al dancefloor della canadese Ramzi, una delle migliori interpreti della fourth world music contemporanea) e di Piezo, fresco di EP sull’inglese Wisdom Teeth, che ha animato il pomeriggio del Vaia Stage con due ore pregne di cultura soundsystem, dalla dancehall alla jungle.

Diversi i live anche del sabato, alcuni meglio riusciti di altri. Pregevolissimi ma in totale divergenza di mood i Moin (gli inglesi Raime più l’italiana Valentina Magaletti, esibitasi poi in solo domenica mattina), il cui post-punk rarefatto, uggioso e tetro mal si adattava al sole e all’afa del tardo pomeriggio. Stesso discorso per l’indie rock misto a shoegaze dei Common People (con un Lorenzo Senni nel ruolo apparentemente improbabile di chitarrista, per rinvigorire il suo background elettrico più che elettronico), e lo spoken-word infuso di contenuti politici degli EXPAT (duo composto da Mykki Blanco e Samuel Acevvedo). In linea con il contesto, invece, l’esibizione di Bobby Bird aka Higher Intelligence Agency – seconda e ultima nel palco all’interno del labirinto – pioniere dell’ambient techno, che per l’occasione ha proposto un repertorio che si snoda attraverso 30 anni di produzioni. Al calar del sole, poi, il trascinante live di MC Yallah & Debmaster, rapper kenyota e producer francese, tra i nomi di punta del giro Nyege Nyege Tapes / Hakuna Kulala. Ciliegina sulla torta del Vaia Stage, dopo la loro performance incendiaria il testimone è passato nelle mani della veterana DJ Marcelle, che senza grossi problemi ha svolto l’oneroso compito di fomentare ancora di più gli animi. Come da suo copione, ha proposto un dj set a tre giradischi destreggiandosi in modo virtuoso fra i più disparati generi e bpm come pochissimi altri dj riuscirebbero a fare altrettanto impeccabilmente. Il bel set techno di PLO Man ha concluso la giornata, con alcuni dei nomi più attesi tenuti in serbo per l’ultimo giorno di festival.

Valentina Magaletti e Aaron Dunkies hanno aperto una domenica di caldo torrido, che tuttavia non ha impedito ai presenti di farsi guidare nelle danze estatiche dai due idoli di casa: Paquita Gordon e Donato Dozzy, al timone della console complessivamente dalle 13.00 alle 19.00 inoltrate. Giusto il tempo di metabolizzare l’escursione sonora di Dozzy (che ha suonato un’ora in più del previsto causa defezione imprevista last minute di DJ Nigga Fox), che dall’altro palco si levano tamburi e poliritmi: è il turno della Ndagga Rhythm Force, ensemble senegalese prodotta dalla leggenda vivente Mark Ernestus (fondatore dello storico negozio di dischi Hardwax a Berlino e metà di Basic Channel, Maurizio e Rhythm’n’Sound insieme a Moritz Von Oswald). La band si è esibita in un live godibilissimo e irresistibile al punto che rimanere fermi è stata un’impresa ardua, il tutto sotto lo sguardo e le orecchie vigili di Mark Ernestus che monitorava la performance dalla cabina mixer. A seguire un altro set di Paquita Gordon per coprire la seconda ora lasciata vacante da DJ Nigga Fox, con la resident dj del Terraforma che ha optato per un set a base di cassa dritta a velocità moderata dai risvolti dub, ottimo per la decompressione in vista delle ultime ore di festival. Le commistioni di stili dei brasiliani Teto Preto, sempre molto coinvolgenti performativamente, e la maratona techno di DJ Red, hanno chiuso una tre giorni davvero encomiabile dal fronte della direzione artistica.

Tuttavia, al netto di un’offerta musicale indiscutibilmente di qualità, non possiamo esimerci dall’osservare con rammarico e frustrazione le carenze sul piano logistico-organizzativo che – a giudicare dalle testimonianze raccolte di persona e dai numerosi commenti non proprio benevoli sotto agli ultimi post Instagram del festival – hanno compromesso in modo considerevole quella che altrimenti sarebbe stata un’esperienza indimenticabile. Stiamo parlando di ore e ore trascorse in fila. Da quella per la registrazione per il campeggio a quella dell’ingresso del primo giorno, dall’inenarrabile ed estenuante coda per caricare il denaro sui bracciali – unica forma di pagamento ammessa – alla lentezza da parte dello staff nell’effettuare la suddetta procedura (con tempistiche superiori anche ad un’ora solo per questa operazione, prima di dover affrontare altre file per concedersi un drink o del cibo). Ma forse la carenza più grave, fosse anche solo per i rischi di salute impliciti in un festival svolto per la gran parte sotto il sole a temperature che hanno toccato punte di 35/36 gradi, si è rivelata essere la mancanza di acqua potabile gratuita. Il che ha fatto sì che, in caso di necessità di idratarsi, la scelta ricadesse tra la fila per le lattine d’acqua e l’abbeverarsi dai rubinetti vicino ai quali troneggiavano avvisi che mettevano in guardia dal bere acqua non potabile. E, sempre a tema acqua, chi ha campeggiato non ha ben accolto la notizia della limitata disponibilità d’acqua, con conseguenti orari prestabiliti e ristretti per farsi la doccia. Tutte problematiche che, per un festival entrato in breve tempo nel novero delle eccellenze italiane e internazionali – notevole la presenza di stranieri, soprattutto inglesi – ci si aspettava fossero gestite con maggiore efficienza, anche in virtù dell’investimento economico non di poco conto (cui si sono sommate le esose spese in loco per cibo e bevande, a prezzi quantomeno discutibili) da parte di chi ha scelto con entusiasmo di partecipare a questa edizione del Terraforma.

A conti fatti, si è trattata di un’esperienza sicuramente positiva per la varietà e la ricchezza dell’offerta musicale, per l’atmosfera rilassata e cordiale che si respirava fra le persone presenti, e per il valore aggiunto dalla location. Ma restano delle lacune logistiche facilmente prevedibili e parzialmente arginabili che difficilmente ci saremmo aspettati da un team rodato come quello di Terraforma. Aspettiamo già la prossima edizione, nella speranza che i commenti negativi di quest’anno aiutino gli organizzatori ad offrire al loro folto pubblico un’esperienza che potrà lasciare un ricordo positivo a 360 gradi.

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